Il cuore è un metronomo silenzioso che accompagna ogni attimo della nostra vita. Ma cosa succede quando perde il ritmo? La fibrillazione atriale (FA) è la forma più comune di aritmia cardiaca: si stima che colpisca oltre un milione di persone in Italia, in particolare sopra i 65 anni.
Si tratta di un’alterazione del battito cardiaco che diventa irregolare e spesso accelerato. Può essere intermittente oppure continua, e in molti casi non viene percepita immediatamente, rendendo ancora più importante una diagnosi tempestiva.
Sintomi da non ignorare e fattori di rischio
I sintomi della fibrillazione atriale variano da persona a persona. Alcuni pazienti la avvertono come palpitazioni, affanno, stanchezza e sensazione di battito irregolare. Altri, invece, non manifestano alcun segno evidente e scoprono la patologia in occasione di controlli di routine o in seguito a complicanze.
I principali fattori di rischio includono ipertensione, diabete, obesità, apnea notturna, abuso di alcol e fumo, ma anche una predisposizione familiare. Non va dimenticato il legame tra fibrillazione atriale e altre patologie cardiache come lo scompenso o le valvulopatie.
La preoccupazione principale? Le complicanze tromboemboliche, in particolare l’ictus: chi soffre di FA ha un rischio di ictus fino a 5 volte maggiore rispetto alla popolazione generale.
Una diagnosi che può fare la differenza
La fibrillazione atriale può essere diagnosticata attraverso un elettrocardiogramma (ECG), un Holter 24 ore o altri esami più approfonditi. Una volta confermata, si valuta il miglior approccio terapeutico: controllo del ritmo, frequenza cardiaca e prevenzione dei coaguli, spesso tramite farmaci anticoagulanti.
In alcuni casi, si può intervenire con procedure come la cardioversione elettrica o l’ablazione transcatetere. Il trattamento va sempre personalizzato in base alle condizioni del paziente e alla presenza di eventuali patologie associate.